Nell’agosto 2000 si svolsero i solenni funerali di Stato dell’ambasciatore
Edgardo Sogno, Medaglia d’Oro al Valor Militare, che l’aveva scelta per il suo
ultimo saluto alla capitale sabauda in quanto simbolo della restaurazione monarchica. Ai piedi della collina, oltre il ponte Vittorio Emanuele che chiude l'ariosa piazza Vittorio, ecco la chiesa della Gran Madre di Dio, punto di snodo, cerniera architettonica per la storia
di questa città. Nel 1814 Torino decreta la costruzione di un monumento per
celebrare il ritorno in patria di re Vittorio Emanuele I. Dopo qualche iniziale
incertezza, si decide per la costruzione di una nuova chiesa, che dovrà sorgere
dall’altro capo del nuovo ponte sul Po, e al tempo stesso di ridisegnare
l’intera piazza ad essa collegata. Nel 1818 vengono presentati i progetti di
Ferdinando Bonsignore e di Gaetano Lombardi a una giuria di architetti locali e
stranieri. Viene scelto il quarto progetto di Bonsignore, ritenuto di “elegante
e bella proporzione” per l’evidente richiamo neoclassico al Pantheon e per la
volontà di creare un fondale scenografico in cui l’edificio costituisce il
centro visuale, in dirittura del ponte francese. Edificata ai piedi della
collina da Bonsignore, architetto sabaudo passato prima a un’attiva
collaborazione con i francesi, poi nuovamente con i Savoia ob adventum regis,
per il ritorno del Re, la chiesa fu innalzata tra il 1818 e il '31 per
ricordare ai piemontesi il ristabilimento della monarchia sabauda dopo
l’occupazione rivoluzionaria. La scritta incisa sul frontone lo ricorda a
chiare lettere: Ordo Populusque Taurinus ob Adventum Regis, per la volontà del
Comune e dei cittadini.
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La facciata della Gran Madre di Dio con la statua di Vittorio Emanuele I |
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Festeggiamenti in piazza Vittorio Veneto. |
Il 25 luglio del 1818 Vittorio Emanuele I pone la prima
pietra dell’avvio delle fondamenta, mentre il successore Carlo Alberto
presenzia alla consacrazione del 20 maggio 1831. Dopo la bufera napoleonica, lo
stile celebrativo freddo della Gran Madre voleva ristabilire nei sudditi del
sovrano restaurato dal Congresso di Vienna i due ideali basilari per uno Stato
forte: la religione e la fede, rappresentate nel marmo delle statue che
fiancheggiano l’imponente scalinata. Né Bonsignore, né Vittorio Emanuele
avrebbero potuto pensare che nel tour della Torino magica del XX secolo, gli
appassionati del genere avrebbero visto nelle due figure femminili significati
magici riconducenti agli aspetti druidici del Piemonte. Anzi la donna che leva
alta la coppa, con lo sguardo indicherebbe la direzione giusta per rinvenire a
Torino, città della Sindone, il leggendario Graal, calice dell’Ultima Cena.
Anche l’altra statua - la fede - celerebbe nel suo velo una mitria papale,
interpretando la profezia di Nostradamus che annuncia la rovina della Chiesa:
“Romano potere sarà del tutto a basso”. Leggende pagane respinte dagli
studiosi.
Palcoscenico di storici eventi della vita cittadina è la Gran Madre
tra il 1842 e il 1848, sia per i grandiosi festeggiamenti che si svolgono in
occasione delle nozze di re Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide d’Asburgo,
sia per quelli legati alla proclamazione dello Statuto Albertino. Verso la fine
dell’Ottocento, invece, il tempio perde questo ruolo celebrativo, diventando
più semplicemente il fulcro prospettico di uno dei più poetici scorci torinesi.
La Gran Madre di Dio rappresenta comunque il più vistoso episodio
architettonico della sistemazione urbanistica al di là del Po: sull’armonioso
fondale della collina, punteggiata di ville e vigne nobiliari, il quarto lato
della maestosa piazza Vittorio giganteggia come cerniera di due secoli, due
mondi: Settecento e Ottocento; Ancien régime e monarchia liberale, centro
storico e collina. La Gran Madre è lì, a ricordarci un’importante pagina della
nostra storia (vgc).
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Notturno sul Po, ove si specchia la sagoma della Gran Madre di Dio. |
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